Riforma previdenziale: le prospettive per i prossimi mesi

Il tema della riforma previdenziale è uno dei più sentiti in questo inizio anno quando si parla dell’agenda del Governo Meloni. Archiviata la data del 19 gennaio, con il vertice generale, era forte l’attesa per lo scorso 8 febbraio, data prevista per l’appuntamento tra tutte le parti sociali. All’ultimo, però, è arrivata da parte dell’esecutivo la decisione di aprirlo solamente ai sindacati, andando, di fatto, a restringere notevolmente la platea con l’accesso alla discussione su due temi cruciali: la copertura previdenziale destinata alle donne e ai lavoratori più giovani.

Per quanto riguarda la questione della previdenza femminile, le sigle sindacali stanno chiedendo a gran voce all’esecutivo Meloni di allentare la stretta su Opzione Donna. Sono passati quasi due decenni da quando, con la Legge Maroni, venne data, inizialmente in via sperimentale, la possibilità alle lavoratrici sia dipendenti sia autonome di andare in pensione prima, rispettivamente a 57 e 58 anni, a patto di aver raggiunto 35 anni di contributi.

Nel corso di questi 18 anni, la misura è stata oggetto di diverse modifiche. Nell’elenco spiccano quella concretizzata alla Legge Fornero nel 2011,  che ha di fatto introdotto la prorogabilità annuale, e l’innalzamento dell’età a 58 e 59 anni nel 2019 (in questo frangente, però, è stato depennato il requisito dell’aspettativa di vita).

Ad oggi, si parla della possibilità di rendere Opzione Donna una misura strutturale, bypassando quindi la proroga annuale.

Doveroso è sottolineare il termine “possibilità”: l’alternativa più probabile tra quelle sul tavolo, infatti, è il mantenimento della proroga annuale. Nel caso in cui la misura, introdotta nel lontano 2004, dovesse essere effettivamente prorogata anche quest’anno, il termine per la maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi slitterebbe al 31 dicembre del 2022.

Per Opzione Donna si parla anche di un altro intervento, ossia l’innalzamento dell’età per accedere a questa forma di pensione anticipata dedicata alle lavoratrici di sesso femminile (attenzione, il loro trattamento previdenziale, in questo caso, è calcolato tenendo conto del metodo contributivo).

Si sta valutando la possibilità di innalzare il requisito anagrafico minimo a 59 anni per le lavoratrici dipendenti e a 60/61 per le libere professionisti e imprenditrici.

Il nodo dei conti

Sono numerosi gli aspetti di cui tenere conto in vista della possibile riforma delle pensioni. Uno indubbiamente importante è il nodo dei conti dell’INPS. Da parte dell’Ente, sono arrivate prospettive tutto tranne che positive per quanto riguarda la chiusura dell’esercizio 2023. Si prevede, infatti, un passivo di oltre 9 miliardi di euro, tantissimi in confronto agli 1,8 miliardi di attivo del 2022. In tutto questo, non va dimenticato il fatto che, per quest’anno, è previsto un ulteriore incremento della spesa per gli assegni pensionistici. Numeri alla mano, si arriveranno a spendere circa 23 miliardi in più, cifra che salirà a 50 nel 2025.

La situazione appena descritta rende oggettivamente difficile fare un ragionamento sulla flessibilità in uscita. Nessuna delle proposte più discusse per il superamento della Legge Fornero, dalla Quota 41 fino al pensionamento a 63 anni chiesto spesso dai sindacati, appare sufficientemente sostenibile.

Gli obiettivi del Governo Meloni

Il Governo Meloni sta lavorando per arrivare a definire lo scheletro della riforma delle pensioni entro l’estate. In questo modo, si avrebbero maggiori probabilità di avviarsi verso il percorso di superamento della Legge Fornero entro l’inizio del 2024. Dai sindacati è arrivata una richiesta chiara: nel Def, la cui presentazione è prevista ad aprile, vogliono vedere qualche accenno alle linee guida della nuova previdenza post legge del 2011.

Il clima ai tavoli di lavoro è tutto tranne che disteso e uno dei temi più caldi in fase di discussione è proprio la già menzionata Opzione Donna, per cui, come già accennato, si richiede un passo indietro rispetto alla stretta introdotta con la Legge di Bilancio in vigore, provvedimento che ha ristretto, e non di poco, la consistenza numerica della platea di beneficiarie.